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Sabato 23 agosto, Sesta tappa: Pietralunga-Gubbio (26 chilometri circa)

Si narra che un pellegrino, in viaggio per Assisi, secoli e secoli fa sia stato catturato dalla guardia del signore locale e condannato a morte per l’omicidio di un paesano di Pietralunga. Il povero camminatore, innocente ma privo di prove per discolparsi, venne condotto di fronte al boia per la decapitazione. Il pellegrino si inginocchiò, la scure si abbatté, ma a quattro dita esatte dal suo collo quell’oggetto di morte si bloccò e il miracolo salvò il giusto: ecco la storia della scure di Pietralunga, che campeggia in mezzo alla piazza principale, proprio di fronte al bel torrione longobardo. Un paese che mi ha stupito per la sua gentilezza e i suoi sorrisi, e che lascio quasi a malincuore, per dirigermi verso Gubbio. Ci sono 26 chilometri, con due belle salite iniziali, una verso l’abbazia di San Benedetto e l’altra che arriva ad un invaso idrico artificiale. Sono di nuovo solo, ed è bello ascoltare il silenzio, che qui non è tanto assenza di suoni, ma di rumore. Il passo è sostenuto ma il tratto è piuttosto duro, e ritorna la paura di non avere abbastanza acqua (con zero fonti nei primi dieci chilometri). Arrivo ad un casolare e faccio per chiedere di poter riempire le bottiglie, ma lo trovo disabitato. In compenso incontro un nuovo, bislacco personaggio, che sarà il protagonista del racconto di oggi: si tratta di Teo – all’anagrafe Teobaldo – il tipo di Pinerolo a cui ieri ho fatto la gag di Fantozzi. Una corona di capelli ricci con una bella chierica in mezzo, un buon passo e parecchia voglia di chiacchierare: ed è così che decido che sarà il mio compagno di oggi. Trentacinque anni ma ne dimostra almeno quaranta, vegetariano per scelta e “dopo aver fatto un percorso” (?) e un lavoro da agente immobiliare lasciato da poco per dare uno strappo netto alla propria vita: è così che da più di due mesi vaga ramingo in giro per il mondo. Dopo una lunga sosta in Corsica per un giro in mezzo alla natura selvaggia e per mille tuffi in mare, adesso si è gettato nella La Verna-Assisi, percorso consigliato da amici, ma che non credeva così duro. Ora, fidatevi: un esemplare veramente incredibile! Ha deciso che la sua vita dev’essere in perfetta sintonia con la flora e la fauna: camminiamo e mi spiega la sua filosofia, che però capisco più che altro nella pratica, affiancandolo in questa tappa. Ad esempio quando, poco più che a metà strada, si ferma, vede una lumaca e esordisce con: “No, qui è troppo pericoloso, c’è la rete e ti faresti male!!!”. Si prende il povero animaletto (che si stava facendo gli affari suoi e non aveva chiesto niente a nessuno) e lo traghetta per un quarto d’ora sul palmo della mano, fin quando, trovando un prato, mi dice: “Va bene se la metto qui, Elia?”. Non conoscendo l’habitat più favorevole alle lumache e soprattutto ritenendo la domanda quantomeno singolare, ho un attimo di esitazione. Poi, per sbloccare la situazione, rispondo “Ma sì dai, direi perfetto…”. Un tipo che rende la mia giornata anche stavolta molto ricca, e dei suoi atteggiamenti al limite della follia una cosa mi colpisce: quando ci fermiamo a raccogliere more e fichi ai cigli del percorso e, per ogni frutto colto, dice “Grazie, grazie”. Un’uscita che definirei come minimo inusuale, ma che mi fa pensare: che dono immenso avere delle buone cose dolci per ristorarti durante il pellegrinaggio, che bello poter trovare la soddisfazione nelle cose che di solito vedi al mercato, paghi e porti a casa, come se fosse la cosa più normale del mondo. Eppure tanto automatica non è, e allora è bene dire un grazie a chi queste cose le manda, e te le fa trovare belle fresche e saporite.
Arriviamo insieme, dopo pettate non da poco, fino al chiesino di Montecchi, conosciuto per la sua Madonnina. Ci fermiamo per pranzare un po’ e si aprono i rubinetti del cielo: tre ore ininterrotte di pioggia, ma di quei muri d’acqua assurdi che sembrano non dover finire mai. Ho freddo e abbiamo solo una piccola tettoia per ripararci, ma più che altro rifletto su come queste esperienze demoliscano il senso di onnipotenza dell’uomo del nostro secolo. Ci hanno insegnato che possiamo tutto, che siamo ciò che di più inarrestabile c’è al mondo, che facciamo il bello e il cattivo tempo con la nostra vita e tutto ciò che abbiamo intorno. È un’illusione, e il cammino te lo fa capire benissimo: è la natura che decide, che ti fa adeguare ai suoi tempi, che ti ristora o ti fiacca. E mi sento piccolo piccolo, come un pulcino infreddolito sotto quella tettoia, con un tempo brutto che credo non finire mai. E che invece poi finisce. Io e il buon Teo abbiamo perso più di due ore sulla tabella di marcia, ma spingiamo e non ci perdiamo d’animo. Passiamo dalla parte alta di Loreto, un piccolo gioiello, e a metà pomeriggio siamo a Gubbio, che mi rapisce perché i palazzi medievali, al tramonto, si tingono di rosa come gli hybiscus piantati subito sotto piazza Grande

Cosa che ho imparato oggi: L’habitat ideale delle lumache sono i prati.
Cosa che mi porterò in tasca domani: La voglia di arrivare ad Assisi: perché tra storte e vesciche mi verrebbe quasi voglia di tornare a casa in treno.

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